martedì 12 luglio 2011

Un giornalista di guerra

"Ho iniziato da corrispondente di guerra per finire come corrispondente contro la guerra. Le prime righe del mio libro "pelle di leopardo" erano "la guerra è una cosa triste", ma la cosa ancora più triste e che ci si fa l'abitudine. Dopo trent'anni mi accorgo di non poterci più fare l'abitudine. Basta! Basta davvero con quest'inutile violenza che brutalizza non solo le vittime, ma gli autori stessi. Basta con i discorsi sul confronto di civiltà. Basta con i discorsi sulle scelte obbligate. La propaganda americana ci ha messo davanti a questa "o con noi o con i terroristi". Eppure la via di mezzo c'è sempre, un questo caso è "ne con gli uni, ne con gli altri". In questo caso è riscoprire il nostro essere europei, il nostro diventare sempre più unità nelle diversità o nelle diversità. L'idea che con la guerra si possa eliminare il male è assurda quanto quella dell'uomo che voleva seppellire la sua ombra: scava una fossa ed è felice quando la vede sul fondo. Allora comincia a riempire la fossa di terra, ma l'ombra torna ad essere li accanto a lui. Bisogna capire che non c'è guerra che metta la fine a tutte le guerre, e che la vera radice di tutte le guerre è dentro di noi. E da li dobbiamo cominciare a cambiare le cose!

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